The good nurse

di Tobias Lindholm (2022)

durata: 121’
produzione: USA
cast: Jessica Chastain, Eddie Redmayne, Nnamdi Asomugha, Noah Emmerich, Kim Dickens, etc
sceneggiatura: Krysty Wilson-Cairns, Charles Graeber
fotografia: Jody Lee Lipes
musica: Biosphere

Ispirato alla storia vera (e relativo libro di Graeber) dell’infermiere serial killer Charles Cullen, questo thriller dai forti toni drammatici preferisce lasciare su un livello secondario i consueti attimi di tensione, concentrandosi piuttosto sull’aspetto investigativo legato alle vicende e propendendo soprattutto per l’analisi e approfondimento psicologico dei due protagonisti. Performance attoriale (due nomi noti e già premiati) oltretutto di grande spessore. Quella di Jessica Chastain, la brava infermiera appunto, integerrima e caritatevole lavoratrice, nonostante la sua disperata situazione di salute e assicurativa, con un incipit quasi dickensiniano (forse perfino un po’ troppo ‘brava’ quando tiene a bada l’assassino trovato a casa sua con le figlie). Ma anche quella di Eddie Redmayne, che compie sul personaggio un magistrale lavoro di delineazione di un uomo dallo sguardo serafico e capace di gelida letale misericordia verso le proprie vittime (in realtà non tutte furono terminali), bilanciando ottimamente lo sdoppiamento di personalità. L’attore inglese ovviamente ha studiato attentamente il vero Cullen, che superò nella propria vita sia esami psicologici per lavorare in un sommergibile che un interrogatorio con la macchina della verità. Al di là della componente biografia, chiaramente l’intento di Lindholm – oltre a sottolineare il noto disdicevole problema del rapporto assicurazione/assistenza degli USA (tema ad es. perfettamente affrontato dal “John Q“ di Cassavetes di esattamente 20 anni prima) – è quello di mettere in luce la vera mostruosità della vicenda. Quello che spaventa davvero, mano a mano che emergono informazioni non è infatti l’operato di un assassino che ha d’altronde palesato più volte nella propria vita sintomi di disturbo mentale, tentato il suicidio con svariati ricoveri in reparti psichiatrici, etc quanto la venale omertà di tutti gli istituti ospedalieri che hanno consentito il proseguimento degli omicidi ignorando quanto accaduto o in caso di forte sospetto limitandosi a licenziarlo con cavilli burocratici: per poi assumerlo nuovamente altrove, causa penuria di personale. E il regista questo operato certo non lo giustifica (anche se le generose intenzioni dell’infermiere verso la collega malata di cuore sono oggettivamente di grande umanità), ma lascia che sia lo spettatore a trarre le dovute conseguenze. Importante in tal senso il resoconto del parallelo lavoro di indagine giudiziaria e confronto con la burocrazia sanitaria. Regia asciutta, fotografia costantemente plumbea che si sposa soffusamente con l’umore che pervade locations e personaggi e discreto commento sonoro di Geir Jenssen a metà tra elettronica e ambient. Ennesima conferma dell’ottima tradizione cineastica danese.
Visionabile su Netflix a questo LINK.

A cura di Luigi Maria Mennella © 2022.

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