Garuda

di Monthon Arayangkoon (2004)

L’unico orrore che ho provato è quello che per un istante mi ha fatto nutrire un’enorme empatia con il Colonnello Kurtz di coppoliana memoria. La componente fantastica risiede nell’idealizzazione qualitativa DI QUESTA PELLICOLA. ciò nonostante, ho voluto cimentarmi nella visione DEL primo ‘UFFICIALE’ kaiju movie realizzato in Thailandia: tanta passione e dedizione tecnica, eccitazione di crew e cast, ma a differenza del mostro il film DECISAMENTE non decolla…

titolo originale: “Paksa Wayu”
durata: 115’
produzione: Thailandia
cast: Sornram Teppitak, Sara Legge, Dan Fraser, Chalad Na Songkhla, Yani Tramod, Phairote Sangwaribut
sceneggiatura: Monthon Arayangkoon
fotografia: Jiradeht Samnansanor
musica: Monster Music Unit

Presentato come qualcosa di assimilabile alla risposta thailandese al filone di mostri giganti, l’esordio di Monthon Arayangkoon nel cinema parte da qualcosa che affonda le radici nella propria tradizione folkloristico-religiosa; al punto da proporre una creatura che è certo mostruosa, ma ha anche una forte connotazione divina.
Basta ad es. un breve approfondimento dell’iconografia induista (Garuda, il figlio della dea Vinata che lo partorisce come uovo) per riscontrare tutte le dovute somiglianze, anche se a dire il vero il mostro creato per il film ricorda molto nel volto la femmina della sudamericana Aquila Arpia.

E d’altronde l’atteggiamento dei militari che cacciano Garuda è qualcosa a metà tra il necessario e il rispettoso.
C’è timore e consapevolezza di combattere un dio. Si usano pallottole per umani, certo, ma solo per esigenze di spettacolarizzazione. L’unica arma adeguata (un coltello inciso con disegni sacri) servirà solo a scalfirgli un’unghia. E non in senso metaforico.

L’animazione del mostro è invece creata totalmente in computer-graphics, con un enorme sforzo elaborativo (in alcuni punti si vedono muovere addirittura le singole penne), ma il risultato finale purtroppo – complice forse un’amalgama fotografica poco efficace – non va oltre il risultato di un buon titolo PlayStation.
Il coloring spesso rende il prodotto un po’ troppo artefatto…e forse anche per questo il sangue poi risulta magenta…

E altrettanti sforzi sono stati fatti sul piano scenografico – con ambientazioni a occhio ricreate dal vero – alternate ad alcuni momenti in cui è stato utilizzato il blue screen (es. la lunga scena di combattimento che riguarda la sopraccitata unghia in un corridoio, o la scena finale sopra un palazzo).
Alto infine è stato l’impegno anche di tutti gli attori che hanno dovuto praticamente combattere/interagire ‘a mosca cieca’, dato che il mostro è stato aggiunto in post-produzione.
Ma tutto questo coinvolgimento di crew e cast purtroppo non ha pagato.

La recitazione è senza girarci attorno penosa ed enfatica. Le espressioni di dolore o meraviglia hanno un quid quasi espressionistico (terrore = occhi sbarrati mentre i protagonisti deglutiscono / meraviglia = bocche aperte… / disappunto = teste scosse, etc …siamo dalle parti delle direttive recitative degli attorni porno. I passaggi tra gli stati emozionali hanno la stessa repentinità delle prove di recitazione in pausa-aperitivo.

La stessa attrice principale [Sara Legge], sorta di surrogato di Phoebes Cates, che tutti nel film descrivono come desiderabile ribelle, nella vita vera avrebbe ricevuto solo docce fredde; ma esistono anche registi a cui piace suggerire allo spettatore quello che dovrebbe (e il condizionale è d’obbligo) evincersi solo dall’interpretazione. Il resto del cast è quasi imbarazzante. Per chi vuole avventurarsi negli extra del dvd e ascoltare le interviste in cui descrivono con entusiasmo il proprio ruolo, anticipo che nel privato non è che raggiungano un risultato migliore.

Peccato, perché il film non è neanche girato senza cognizione di causa, a parte alcuni saccheggi come “Alien” (es. a caso, il mostro che annusa la protagonista senza ucciderla) o “Predator” (atteggiamento goliardico dei militari verso il mostro “preda”)…ma quel poco di buono che ne scaturisce è distrutto in fase di montaggio: ridondante per dettagli stereotipati (inserimenti virili di caricatori, colli fatti scricchiolare prima di combattere, sguardi minacciosi, etc e quindi continui primi piani su espressioni dei volti), ralenti abusati (incluso tentativo di bullet time) e poi sequenze ripetute in dissolvenza o da angolazioni diverse neanche fosse un servizio di video-sorveglianza, con una media di una ripetizione ogni tre scene ‘significative’ …il tutto per far sembrare i duri più duri…o creare chissà quale approfondimento psicologico. Davvero snervante.
La stessa scena finale del combattimento contro il mostro (che tutti credevano morto annegato nella caverna) sembra non aver fine.

Prima in metropolitana (il tempo di trucidare un po’ di persone, compreso un addetto alla sicurezza che lo avrebbe meritato davvero per l’interpretazione), poi uscendo dall’asfalto ci si sposta sopra un palazzo – inizia un lieve deja-vu di “King Kong” – sulla cui sommità Garuda troneggia. Successivamente crivellato di colpi – cosa che lo porta anche ad auto-amputarsi l’ala – rincorrendo la protagonista cade come un deficiente nel vuoto.

Ma… non muore. Risale, arrampicandosi sul palazzo…finché una pallottola di un’arma – N.B. meno potente di quella che prima l’aveva solo ferito – colpendolo in fronte lo uccide. Precipita nuovamente. Il film sta per finire, ma si sente un verso che fa capire che non è deceduto neanche stavolta. Solo in questo momento ho avuto davvero paura. Poi ricordandomi che era una tipologia di finale molto in voga negli horror degli anni ’80 mi sono rassicurato sul fatto che non ci sarebbe stato un sequel.

Ma le disgrazie non vengono mai da sole: il doppiaggio… riallacciandomi al discorso iniziale, Rocco Siffredi avrebbe saputo fare sicuramente meglio.
Oltretutto i dialoghi oscillano tra momenti di luoghi comuni, stereotipi e tentativi umoristici e altri di spiegazioni, anticipazioni e pensieri ad alta voce, come se il pubblico fosse o deficiente o qualcuno da indottrinare. O evidentemente si è sentita la necessità di riscattare una cattiva reputazione che ha il popolo Thailandese e di cui ammetto di non essere a conoscenza.

Mi sono segnato a tal proposito alcune frasi:
“(…)perché muoiono sempre i buoni e mai i cattivi?” in apertura di una speculazione filosofica sulla ragionevolezza dei thalandesi e sui morti causati dalle idee degli stranieri-egoisti.
e poi:
“(…)perché siamo fatti così? Noi thailandesi siamo capaci soltanto di sbranarci…” per riflettere sulle tensioni ai vertici generate dai propri interessi, ignorando i bisogni del popolo…
Grazie a questo film ho però scoperto che in Thailandia è praticamente vietato fumare. Quando ho visto le riprese del backstage con i quadratini della censura sopra qualcosa di tenuto in bocca non ho potuto fare a meno di pensare di nuovo a Rocco.

Tra gli episodi clou che avrebbe fatto impallidire Chuck Norris: uno dei militari a caccia del mostro fa saltare un muro “antichissimo” (sotto gli occhi esterrefatti dei protagonisti che ne percepiscono l’enorme valore storico-artistico…peccato che il muro sembri di calcestruzzo), dandogli le spalle mentre si accende una sigaretta. A esplosione avvenuta si contraria che il movimento d’aria gli abbia spento la fiamma dello zippo.
Oppure la ragazza che passa indenne attraverso un campo minato evitando senza accorgersene ogni singolo filo trasparente teso sul terreno per innescare gli ordigni esplosivi. Subentrata la fretta, accelera il passaggio e lascia l’area indenne (!)

Discutibile anche il contributo di verosimiglianza:
All’inizio, l’effetto del crollo implosivo delle miniere è ottenuto tramite la ripresa delle montagne che esplodono come se fossero state minate.
Dopo un’ora abbiamo la ripresa di una siringa da cui gocciola sangue: la prima goccia casca dall’ago; le successive palesemente dall’alto / da altra direzione (con volume audio aumentato).

Ancora uno e poi basta: quando il mostro ricompare alla fine, Tim [Dan Fraser], l’amico / collaboratore / fidanzato non dichiarato della protagonista rimane schiacciato sotto una colonna / pilastro portante (che non è portante…) di una metropolitana, ma parla tranquillamente smuovendo ogni tanto la medesima come se fosse di polistirolo…
Cos’altro? La musica: a volte trita, ma funzionale quando rimane sulle classiche sonorità da action strings…a volte micidialmente techno-metal a seconda dell’equilibrio drammaticità-adrenalina. Il sound design è quello da repertorio/libreria pre-confezionato, spesso anticipatorio o didascalico.
Certo, rispetto al “Q – Il serpente alato” di Larry Cohen qui siamo in un prodotto di altissimo livello, ma come mai nonostante gli oltre 20 anni che li separano e l’enorme sviluppo tecnologico intercorso…continuo a conservare un ricordo migliore del film con Carradine rispetto a questo la cui visione volevo interrompere dopo 6 minuti di orologio? Una cosa però non si discute: il regista, gli operatori, il cast…e perfino le comparse si devono essere divertiti un sacco a realizzare questo film. L’espressione di terrore disperato sui volti della massa che fugge con l’arrivo in città di Garuda non lascia adito ad alcun fraintendimento.

Uscito nel mercato home-video italiano – a parte una versione digitale – prima in blu ray (2009, Vegas Multimedia – distribuito da Koch Media e fuori catalogo) e poi dvd (2014, Vegas Multimedia – distribuito da Millenium Storm/DNA e ancora disponibile). La copia in mio possesso / visionata è quest’ultima, in DVD box trasparente con stampa però monofacciale – codice EAN: 8032825660840.

A cura di Luigi Maria Mennella © 2022.


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